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Quando mi hanno detto sta
storia dell'autoarbitraggio – nel mio caso riguardava il calcio giocato da mio figlio allora di anni 9 – sono inorridito. Ma come si poteva tirare fuori una roba così assurda? Mi ripetevo che il rapporto con l'arbitro e quindi con le regole è una delle basi educative dello sport. Si parla di pulsioni che devono imparare ad essere incanalate all'interno di un sistema di regole e proprio in questa capacità di dare tutto se stesso stando dentro un insieme di norme ben definite e condivise con gli avversari, sta il valore dell'agonismo, della sfida, del desiderio di primeggiare, di vincere, di giocare. La regola come limite alla propria aggressività, al proprio istinto di sopraffazione dell'avversario-nemico, ma anche la regola come libertà di potersi esprimere nella fiducia che tutto quello che può accadere all'interno di una competizione sportiva, non può mai travalicare certi limiti. Se lo fa, c'è un terzo imparziale che interrompe, sanziona, vigila.
Ecco, l'autoarbitraggio mi sembrava avrebbe consegnato allo sport dei bimbi partite senza regole. Mi immaginavo partite dove avrebbe avuto il sopravvento il più prepotente, il più furbo, dove sarebbero stati difficilmente arginabili le incursioni da parte dei genitori sugli spalti (vera piaga dello sport giovanile) e mi immaginavo grandissime tensioni sulle panchine, non sempre abitate da personaggi dotati di quell'equilibrio che un educatore dovrebbe avere. Invece mi sono ricreduto.
L'autoarbitraggio mette a tacere gli adulti, che assistono quasi attoniti ad una partita che ritrova i suoi connotati più genuini di "partita fra bambini che giocano al loro gioco preferito". E rimangono spiazzati e disarmati perché – improvvisamente – quella partita non assomiglia più a quelle che si vedono alla TV, di fronte alle quali ci si sente liberi di dare il peggio di sé in termini di urla, commenti, insulti, proteste, quindi non resta che fare ciò che un adulto dovrebbe sempre fare: applaudire e incoraggiare. I bambini sono molto più onesti e puri di noi adulti così, quando uno cerca di fare il furbo, viene subito arginato dagli altri e le piccole questioni si risolvono.
Quindi l'autoarbitraggio responsabilizza. Responsabilizza i ragazzi, che si sentono tutti parte di un sistema che deve camminare con le proprie gambe, ma responsabilizza anche gli adulti che a questo punto non hanno più un altro adulto (l'arbitro) col quale fare baruffa, quindi si sentono (giustamente) degli intrusi di fronte ad un gruppo di bambini che giocano. Rimane loro solo lo spazio per gli applausi (se sono genitori) e per i consigli tecnici (se sono coach) e mi sembra che sia giusto così e che questo piccolo mondo si possa aggiustare un po'. Viva l'autoarbitraggio e viva i bambini che giocano.
di Federico Ghiglione
professionepapa.i
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