da OLTRE LA RETE di Doriano Rabotti

MA NON DIVAGHIAMO. L'analisi sugli sponsor dello studio Ghiretti dice alcune cose che spiegano, meglio di tanti ragionamenti tra tifosi dell'uno o dell'altro sport, perché in Italia il calcio si sta inghiottendo tutte le altre discipline. Articolo quinto, chi mette il grano ha vinto, dicono dalle mie parti. E sembra che la cosa si possa adattare benissimo alle sponsorizzazioni negli sport di squadra italiani. L'indagine ha preso in esame 142 club maschili e femminili: calcio (A e B), volley (A1 e A2), basket (Serie A e Legadue), rugby (Eccellenza e italiane della Celtic League), per un totale di 158 sponsorizzazioni. Sono stati considerati, per capirci, lo sponsor principale sulla maglia del calcio e quelli che danno il nome nelle altre discipline.
QUALCHE tendenza è emersa chiaramente: difficoltà di attrazione nei confronti dei capitali stranieri, scomparsa di intere categorie merceologiche, assenza dei cosiddetti 'top spender' nazionali, ricorso sempre maggiore a sponsor locali, fenomeno che si è rafforzato moltissimi in questi anni di crisi. Oggi l'81% delle aziende che sostengono economicamente le realtà sportive provengono dalla stessa città, provincia o regione del club. Nel 1998-99 questa percentuale era del 72%.
L'UNICO sport che va contro questa tendenza è il calcio, dove almeno metà degli sponsor di maglia sono nazionali o addirittura internazionali. Ma se si toglie il calcio di serie A, la percentuale degli sponsor locali sale addirittura al 93%. Alcuni settori sono spariti: automobilistico, cosmetici, elettronica, cibo e bevande, in favore di banche, catene di distribuzione commerciale, dettaglianti all'ingrosso e abbigliamento, scommesse e giochi. Le grandi aziende del settore 'food&beverage' sono rimaste quasi esclusivamente nel volley. Spariti elettodomestici e 'personal care'. Le banche da sole hanno una trentina di partnership, circa il 20% del totale, ma mancano quasi completamente i grandi gruppi italiani. Sono quasi sempre banche medio-piccole e del territorio, col rischio di creare incroci pericolosi tra società, proprietà e istituto di credito. Ma la nota negativa riguarda i dieci 'top spender' in pubblicità commerciale nel biennio 2009-2010: soltanto Wind sponsorizza anche un club, la Roma calcio. Gli altri hanno deciso di non associare il proprio marchio a un singolo club, oppure come Tim e Ferrero hanno scelto interi campionati e nazionali. Immagino che non volessero legarsi ad alcun tipo di 'tifo', soprattutto per non correre il rischio di perdere i clienti 'avversari'.
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