Allarme-futuro
Giani: "Stiamo insegnando male la pallavolo
Nelle giovanili buoni atleti ma non eccezionali"
Il tecnico, "totem" della pallavolo italiana, fa il punto della situazione sul movimento di casa nostra. "Un giocatore come me oggi farebbe fatica ad emergere"."Ho l'impressione che i tecnici delle giovanili non siano sufficientemente preparati". La nazionale? "Stiamo peggiorando. Perché lo straniero che viene in Italia è meglio preparato"
MODENA - 525 partite disputate (tutte in A1), ottomilacinquecento punti realizzati, trentanove trofei conquistati da atleta, che fanno quaranta con l'unico vinto (sin qui) da allenatore (con Modena la Challenge Cup). La carriera di Andrea Giani non racconta il volley. Lo è. Una macchina da palestra, l’indole del professionista combinata al carattere e al talento naturale. L'atleta che in venticinque anni di attività ha attraversato l’Italia, le generazioni e il campo di gioco – interpretando ben tre ruoli diversi ai massimi livelli mondiali – ha deciso, poco meno di due anni fa, di appendere le ginocchiere al chiodo. E di dare alla propria carriera l’evoluzione più logica, diventando allenatore: prima il contatto con lo staff della Nazionale giovanile, poi l’offerta di Modena – la sua Modena – per guidare un nuovo corso fatto di giovani e di scommesse. Finito male, con il decimo posto e l’esonero d’emergenza a metà scarsa del campionato. Al di là delle prime comprensibili difficoltà, nella sua nuova esperienza professionale Giani può diventare il filo conduttore della pallavolo italiana che era e di quella che sarà, la memoria storica più preziosa, la visione d’insieme più completa. Con la Nazionale juniores, dopo l’esonero a Modena, ci ha già lavorato: ha assistito agli allenamenti, ha parlato coi ragazzi, li ha valutati osservandoli. Chiarendosi subito le idee: "La sensazione che ho è che abbiamo buoni giovani, ma non giovani eccezionali. Produciamo bravi palleggiatori, bravi centrali che però non battono al salto, e qualche discreto martello. Pochi, in realtà. Opposti, neanche uno. Vent’anni fa non era così". Il quadro non è dei più incoraggianti per quello che, non più tardi di dieci anni fa, era il primo movimento pallavolistico del mondo. E le cause di questa contrazione, per Giani, sono etiche e tecniche: "Tanto per cominciare, la voglia di stare in palestra che c’era una volta non c’è più. Un ragazzo con una buona motricità e voglia di fare sport adesso si muove verso il calcio o il basket, che dal punto di vista tecnico sono molto più facili da imparare. Il nostro è uno sport che richiede un’applicazione straordinaria e tanta voglia d’imparare, e se da un lato l’aspetto atletico continua a migliorare, dall’altro quello tecnico si impoverisce. Per questo penso che il primo problema, ad oggi, sia come lo stiamo insegnando. Male, credo, o almeno non bene come potremmo". Per il membro onorario della Hall of Fame (nella foto sopra), tutto è cominciato con il Libero: "L’introduzione di questo ruolo ha trasformato tutta la pallavolo, generando un’iper-specializzazione. Oggi si gioca mettendo in campo tre giocatori su sette incapaci di ricevere o fare un buon bagher: i centrali si concentrano solo sul fondamentale del muro, soprattutto quelli italiani che per il momento non battono al salto, salvo rare eccezioni. O meglio, battono al salto ma senza forzare, e finiscono per risultare marginali nelle sorti della propria squadra. Giocatori come me oggi farebbero molta fatica ad emergere: in campo scendono atleti mostruosi, che hanno aumentato alla follia la velocità del gioco, ma anche meno preparati di un tempo". Una perdita di valori che, a detta del “Giangio”, colpisce in modo particolare i giovani italiani: il movimento di base soffre perché sulla preparazione dei ragazzi non si investe. Si guardano l’altezza e lo sviluppo muscolare, non i mezzi tecnici: "Ormai mi sono fatto l’idea che non sia a dodici anni che il giocatore di pallavolo va preparato", spiega "Ma qualche anno più tardi. Guardo il modello americano e mi dico che, sulla tecnica, il lavoro svolto tra i 17 e i 22 anni fa la differenza: i ragazzi che giocano a volley negli States cominciano al college, quasi mai prima. Vorrei provare anche in Italia: pescare adolescenti che abbiano praticato altri sport, sviluppando così la propria motricità, e farli ripartire dai fondamentali". Un’operazione possibile, secondo Giani, soltanto inseguito al potenziamento delle competenze di coloro che dovranno istruirli: "Ho la sensazione che gli allenatori dei settori giovanili non siano ancora sufficientemente preparati: la figura dell’allenatore è quella che ha compiuto i cambiamenti più radicali negli ultimi vent’anni. Va bene insegnare la tattica, va bene specializzare gli atleti in base al loro fisico, ma bisogna anche ricominciare a insegnare loro tutta la pallavolo. E ad attirarli in palestra. In questo la mia categoria può e deve migliorare". Le considerazioni, in parte allarmanti, del trentanovenne fuoriclasse da Sabaudia, lo portano a stime altrettanto allarmanti in merito ai risultati futuri della Nazionale: "Stiamo peggiorando", afferma "E il peggioramento è visibile. Il nostro campionato è pieno di stranieri, non perché gli italiani costino di più come alcuni sostengono, ma perché mediamente il giocatore straniero è più competente e meglio preparato. Non si può continuare così, prorogando i termini della norma per i quattro italiani in campo, e investendo in acquisti esteri anziché nei settori giovanili. O meglio, non si dovrebbe, perché la Nazionale è la nostra migliore pubblicità: se negli anni Novanta le palestre erano piene, buona parte del merito era da attribuire ai nostri successi". Una regola valida per qualsiasi sport, in qualsiasi paese del mondo. Nonché la vera ragione per trasformare le allarmanti considerazioni in preoccupazioni concrete, delle quali prendersi immediatamente cura: "Dipende da ciò che vogliamo fare: se ci va bene un campionato spettacolare fatto di stranieri, con una Nazionale che non si qualifica per l’Olimpiade e va agli Europei per arrivare undicesima, così sia. Non parteciperemo più alla World League perché gli sponsor ci abbandoneranno, e investiremo in modo diverso. È un sistema possibile, non certo il migliore". Oppure? "Oppure ci mettiamo al lavoro, seriamente, senza assurde aspettative a breve termine". E quando c’è di mezzo il lavoro, di solito, il Giangio non si fa pregare.di Fabrizio Monari
1 commento:
Grazie MARKo....
Bisogna metterci tutti intorno a un tavolo e iniziare dal NOSTRO PICCOLO MONDO.
La ALTIBERINA deve fare uno SFORZO......
VLRNK
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